L’ultima notte di Amore, la regia di Andrea Di Stefano

ARTICOLO DI Gianni Canova

L’ultima notte di Amore ha una dichiarata, solida ed efficace struttura in tre atti: un prologo, dove intuiamo subito che le cose non sono proprio come sembrano, senza però avere le conoscenze necessarie per capire cosa sta davvero accadendo, un lungo flashback centrale che ci riporta dieci giorni indietro e poi risale a poco a poco a quell’ultima notte” da cui siamo partiti, e infine un terzo atto, più breve, più secco, che ci riporta alla notte in cui Amore si gioca in poche ore tutta la vita

Un lungo piano sequenza con la macchina da presa in volo sopra le case, le luci e i grattacieli di Milano: fa venire in mente Psyco di Hitchcock l’incipit di L’ultima notte di Amore. Qui come là la macchina da presa si muove a volo d’uccello sorvolando la città dall’alto per poi avvicinarsi a poco a poco a una finestra/soglia che mette in connessione il nostro sguardo con il centro dell’azione. Certo: siamo a Milano, Lombardia, invece che a Phoenix, Arizona. È piena notte, mentre Psyco inizia di pomeriggio. E soprattutto la macchina da presa di Hitchcock oltrepassa la soglia della finestra ed entra nella camera d’albergo dove due amanti hanno appena consumato il loro amore clandestino, mentre il regista Andrea Di Stefano sceglie di fermarsi al di qua: non penetra con la macchina da presa nell’appartamento dove ci si accinge a festeggiare l’ultima notte di lavoro dell’ispettore di polizia Franco Amore, che sta per andare in pensione “dopo 35 anni di onorato servizio”. Resta fuori, indugia per un attimo a mostrarci l’interno dall’esterno, quasi a suggerire subito che il cuore di quello che stiamo per vedere non sarà dentro quella casa, ma fuori, in strada.
Ho chiamato in causa Hitchcock non a caso, perché è proprio alla sua lezione che sembra essersi ispirato Andrea Di Stefano per progettare e realizzare questo suo thriller/noir. L’influsso del maestro si vede nella sicurezza con cui Di Stefano padroneggia i modi di produzione della suspense, nella distribuzione perfetta delle ellissi e delle reticenze, nel modo sempre efficacissimo con cui sa generare scarti cognitivi fra noi spettatori e i personaggi. Ma si pensi anche solo a come tutta la lunga sequenza ambientata nel tunnel allo svincolo della tangenziale sembra modellata sul principio drammaturgico che ispira La finestra sul cortile: là James Stewart era costretto all’immobilità e Grace Kelly agiva surrogatoriamente in vece sua, qui il poliziotto Amore (Pierfrancesco Favino) si aggira nervosamente sul luogo del delitto, stando però di fatto immobile, mentre al suo posto si muove la sua compagna Viviana (Linda Caridi), apparentemente ingenua ma capace di assumere a poco a poco il ruolo di deus ex-machina della situazione.

L’ultima notte di Amore ha una dichiarata, solida ed efficace struttura in tre atti: un prologo, dove intuiamo subito che le cose non sono proprio come sembrano, senza però avere le conoscenze necessarie per capire cosa sta davvero accadendo, un lungo flashback centrale che ci riporta dieci giorni indietro e poi risale a poco a poco a quell’ultima notte” da cui siamo partiti, e infine un terzo atto, più breve, più secco, che ci riporta alla notte in cui Amore si gioca in poche ore tutta la vita. Precisione drammaturgica. Essenzialità narrativa. Un po’ Fernando Di Leo, un po’ – perché no – un certo Michael Mann. La Milano di Scerbanenco unita a quella di Sandrone Dazieri. Doppi giochi. Tradimenti. Massacri. Mafia cinese e gang rivali. Scontri generazionali. Sogni infranti e vite vendute. Di Stefano, che si è fatto le ossa all’estero, costruisce un congegno narrativo che inchioda alla sedia e tocca punte di cinema altissimo (tutta la lunga sequenza sotto il tunnel, tra i fari delle auto in corsa, i colpi di pistola, la tensione alle stelle….). Favino ha ormai la maturità e la padronanza espressiva di certi grandi interpreti americani, da De Niro, a Al Pacino, ma intorno a lui non sfigura il resto del cast, a cominciare da un Antonio Gerardi che ha ruolo e sembianze degne di Joe Pesci. L’epilogo è all’alba, in piazza del Duomo. Un’alba slavata, pallida, bellissima, come solo a Milano. Amore al telefono si congeda dai colleghi che lo chiamano e lo salutano. Sembra un lieto fine. Ma alle sue spalle appare un’ombra prima che lo schermo diventi nero. Non sapremo mai se l’ultima notte di Amore finisce davvero con amore e nell’amore.