Il titolo italiano, Incroci sentimentali, rischia di essere banale: evoca l’idea scontata di una storia di adulteri e tradimenti. Più intenso il titolo originale francese, Avec amour et acharnement: con amore e accanimento, amore e ostinazione. Perché qui l’amore si accanisce davvero sui personaggi che si ostinano ad amare e a frequentare l’amore anche quando sentono e si rendono conto che l’amore fa male. Ma ancora più illuminante è il titolo scelto per la distribuzione internazionale: Both Sides of the Blade, tutti e due i lati della lama. Perché nel nuovo film della regista francese Claire Denis (Orso d’argento al Festival di Berlino) si parla e si narra di un amore che taglia e ferisce, da qualunque parte lo si prenda. E ci si chiede fino a che punto siamo disposti a rischiare e a lasciarci ferire per amore.
Al centro del film, il personaggio di Sarah (Juliette Binoche): quasi 60 anni ma ancora bellissima, vive da tempo una relazione appagante con Jean (Vincent Lindon), un suo coetaneo con un passato non proprio limpido (è stato anche in carcere…), ma che è capace di prendersi cura di lei con appassionata dolcezza. Il film inizia nell’acqua e nella luce: Sarah e Jean sono al mare, in vacanza, e immersi nell’acqua limpida del Mediterraneo si abbracciano, si toccano, si desiderano e si amano. Ma la vacanza finisce. Con uno stacco brusco ci troviamo nel buio del tunnel della metropolitana e poi nella penombra del loro appartamento parigino. La luce è ora più opaca, più grigia, ma l’amore sembra abitare anche quella casa che con una grande vetrata e un terrazzo si apre sui tetti di Parigi. C’è un momento in cui il riflesso sul vetro del corpo di lei si sovrappone al riflesso del corpo di lui, a suggerire un’unione che sa diventare fusione. E la scena di sesso in cui Sarah geme fra le braccia di Jean e ripete all’infinito “Amore mio… amore mio… amore mio…” ha un’intensità e una vibrazione che commuovono. Ma dura poco. Un giorno, per strada, per caso, Sarah incrocia lo sguardo di François, il suo ex (nonché ex-collega di Jean): lo scorge da lontano, si gira per guardarlo meglio e sente che non può più fare a meno di lui. La lama comincia tagliare e a ferire, di qua e di là. Si accende, Sarah. Con la testa e col cuore non può non amare Jean, ma il suo sesso reclama François. Con accanimento, con ostinazione. E anche se si ritrae di fronte alle richieste di lui quando per la prima volta si ritrovano di nuovo insieme in un letto, Sarah sente accanirsi su di lei l’ineluttabilità dell’amore.
La regia di Claire Denis e l’interpretazione di Juliette Binoche riescono a far affiorare sul volto di Sarah i trasalimenti e gli accanimenti dell’amore, e mentre François si aggira come un virus nella mente di lei, in una Parigi segnata dal virus della pandemia (i personaggi indossano spesso la mascherina…) la relazione tra Sarah e Jean scricchiola, sbanda e poi crolla. Le panoramiche a schiaffo durante i dialoghi in cui lei lo accusa di sentirsi controllata e di toglierle il fiato, sono al tempo stesso gelide e incandescenti: Jean si sente messo ai margini, sente di perdere quell’unicità e insostituibilità che ogni amante pretende, quindi minaccia (“Hai conosciuto l’angelo, ora conoscerai il diavolo…”), mentre Sarah sa di amarlo comunque, ma sente di amare anche l’altro, e di non poter rinunciare a nessuno dei due. Di qua e di là, in ogni caso, la lama dell’amore taglia e ferisce, ancora e sempre. E mentre il disagio esistenziale dei personaggi si allarga a livello sociale (Sarah lavora alla radio e attraverso le sue trasmissioni affiorano i mali del mondo, a cominciare da un’intervista a Thuram sull’ineluttabilità del “pensiero bianco”), a emergere è l’impenetrabilità degli esseri umani e l’opacità del desiderio, che è quasi sempre indecifrabile anche e soprattutto da parte di chi lo prova o ne è impossessato. Tutti e tre i protagonisti si ritrovano così a essere prigionieri delle loro ossessioni: Sarah del desiderio che la invade suo malgrado, Jean dei lacci mentali che gli impediscono di accettare che la sua donna sia attratta da un altro uomo, François della sua presunzione di essere irresistibile e dall’ossessione per un certo atto sessuale che Sarah si ostina a negargli.
Claire Denis accentua questo senso diffuso di prigionia chiudendo i personaggi dentro primi o primissimi piani, o inquadrandoli spesso come carcerati nello stipite di una porta o nella cornice di una finestra. Fra omissioni, sospetti e menzogne, il clima si fa irrespirabile (letteralmente: Sarah accusa Jean di non darle il tempo di respirare) e tutto diventa chiuso, otturato, ostruito. Sino al finale che non possiamo e non vogliamo rivelare, se non per invitare che legge a riflettere sul fatto che anche la fine – come l’inizio – è nell’acqua. Ma all’acqua libera del mare subentra l’acqua chiusa e imprigionata a sua volta in una vasca da bagno. E nella vasca c’è un solo personaggio, non due come all’inizio. Segno che l’amore ha davvero ferito e tagliato. Da tutte e due le parti della lama.