Senza rimorso – La regia di Stefano Sollima

ARTICOLO DI Gianni Canova

“Pedoni. Siamo tutti pedoni al servizio dello stesso Re”. Come nel gioco degli scacchi, anche i personaggi di Senza rimorso giocano su una scacchiera con ruoli predefiniti. A ciascuno la sua mossa. Non si possono fare le mosse degli altri. Né un pedone può sperare di sfidare e magari anche di battere un Re. A meno che il pedone non si chiami John Kelly e non sia uscito dalla penna e dalla fantasia di uno scrittore maestro dell’action come Tom Clancy (l’autore di Caccia a ottobre rosso, il creatore di Jack Ryan, ormai a tal punto diventato un trademark da avere il suo nome anche nel titolo originale del film: Tom Clancy’s Without Remorse). Azione pura. Psicologia zero. Moventi primari. Emozioni basiche. Odio. Vendetta. Riscatto. Rancore. Nient’altro. A parte tre o quattro personaggi, gli altri non hanno neppure nome. Sono sagome scure. Pedoni sulla scacchiera, appunto. Si muovono circospetti, hanno nervi d’acciaio, agiscono in gruppo, sanno di poter morire da un momento all’altro e infatti muoiono. Solo lui (forse…) sopravvive: John Kelly, il pedone che non volle farsi Re.

Alla sua seconda regia americana dopo Soldado, Stefano Sollima perfeziona il suo tocco e il suo sguardo in un film che è quasi un distillato degli stilemi e delle figure dell’action movie. Guardate anche solo la sequenza magistrale dell’assedio nel caseggiato-trappola in Russia: dentro una “scatola scenica” che si sgretola a poco a poco sotto i colpi di bazooka, Sollima orchestra una regia balistica di grande efficacia: angoli, buchi, finestre, traiettorie, punti di fuga. Proiettili e granate. Esplosioni. Bloccati dentro il palazzo, eppure mobilissimi, i “pedoni” (in realtà sono tutti Navy Seals addestrati come macchine da guerra) saltano, spiano, sparano, si nascondono. Sono ombre nello spazio. Si aggirano fra macerie e rovine. Con spuntoni di ferro deforme che escono dai blocchi di cemento armato. Poche parole, qualche ordine, solo gesti. La fotografia di Philippe Rousselot (Intervista col vampiro, La fabbrica di cioccolato) spalma come una patina opaca sulle immagini, sempre impolverate, livide, grigiastre. E dà i brividi nella sequenza iniziale dell’”estrazione” del prigioniero ad Aleppo, in Siria, e in quella dell’aereo che plana sull’oceano (in realtà una vasca ricostruita in studio…) e si inabissa, con Michael B. Jordan che recita in tutta la sequenza (come del resto in tutto il film) senza controfigura, e resta sott’acqua oltre ogni verosimile resistenza umana, e riemerge in un mare in fiamme che sembra il paesaggio dell’apocalisse. Acqua e fuoco: Senza rimorso è una sinfonia acquatico-ignea, con il protagonista che esce dall’acqua all’inizio e nell’acqua si inabissa alla fine, dopo aver attraversato indenne auto in fiamme e incendi dell’anima.  Rispetto al romanzo di Clancy le varianti non sono poche: l’azione si sposta dal Vietnam alla Siria e poi alla Russia, John Really diventa afro-americano, mentre al comando del suo manipolo di Navy Seals c’è una donna a sua volta afroamericana (nel romanzo era un maschio bianco). A Clancy risale però la visione “politica” che serpeggia fra le trame del film: l’America ha sempre avuto bisogno di costruire un nemico esterno che ricompattasse la nazione. Se non c’è un nemico fuori, finisce che una metà degli americani odia l’altra metà. Quello che poteva sembrare un innocuo action movie suggerisce in realtà una disanima non banale della geopolitica contemporanea e individua l’origine della maggior parte dei conflitti nella volontà dei potenti di offrire all’opinione pubblica qualcuno da odiare.