Berlino anno uno, il Festival col mercato d’inverno più atteso d’Europa si avvia alla conclusione: c’è la fibrillazione dell’attesa intorno al Palast che si prepara a ospitare la cerimonia finale. Chi vincerà? Comunque vada il palmarès finale, nell’aria il bilancio è decisamente positivo per il cinema italiano che ha collezionato sia gli applausi del pubblico che un’attenzione significativa nelle critiche internazionali. Questo non solo per i film in concorso ma per il ventaglio di proposte anche nella sezione Gala, fuori concorso, con l’omaggio al Pinocchio di Matteo Garrone – presentato alla stampa internazionale, poi al mercato- che ha segnato un bel goal e ha fatto parlare di sé anche tra i giovani. Come Carlo Sironi, che ha avuto con Sole, opera prima molto applaudita al Festival, anche la ‘benedizione’ ufficiale di Paolo Taviani, tra i premiati eccellenti con l’Orso d’Oro chiamati a festeggiare il settantesimo.
Dopo le ottime critiche arriveranno anche i premi? Ormai è questione di ore, la giuria si prepara a chiudersi in conclave e non è facile per la squadra guidata da Jeremy Irons comporre il quadro del palmarès. Ma è certo, con un Presidente così protagonista e un attore giurato come Luca Marinelli, le interpretazioni viste sullo schermo della Berlinale quest’anno avranno un peso speciale nelle decisioni. In giuria tra l’altro ci sono anche Bérénice Bejo, la produttrice Bettina Brokemper, la regista palestinese Annemarie Jacir, il drammaturgo e regista Kenneth Lonergan dagli Stati Uniti il critico e regista brasiliano Kleber Mendonça Filho. Chi sceglieranno? Per l’Italia ci sono aspettative: Giorgio Diritti corre anche con una bella interpretazione di Elio Germano, due volte protagonista nei film del concorso, splendido Ligabue in Volevo nascondermi girato nei luoghi del pittore, lungo il fiume della Bassa Padana. Germano è anche punta di diamante nel film corale dei fratelli D’Innocenzo, i gemelli registi scoperti proprio alla Berlinale con la loro opera prima La terra dell’abbastanza e quest’anno di nuovo al Festival con una prova che ne conferma il talento e la crescita, Favolacce: sarà l’outsider di quest’edizione?
Tra i film in pole position alcune regie al femminile My little sister di Stéphanie Chuat e Véronique Reymond, Never rarely sometimes always, che affronta il tema dell’aborto, di Eliza Hittman, ma hanno colpito la critica, col nostro Favolacce, e tra gli altri Undine di Christian Petzold. Si aggiungono alla lista gli ultimi titoli internazionali: l’atteso Irradiés di Rithy Panh e l’iraniano Here is no evil di Mohammad Rasoulof al quale è stata negata la possibilità di partecipare al festival. C’è infine Dau Natasha di Ilya Khrzhanovskiy (che mostra alcune sequenze molto crude, a proposito di sesso).
Never, rarely, sometimes always di Eliza Hittman sembrerebbe favorito, anche secondo le previsioni anticipate dall’Agenzia Ansa mentre sembrerebbe difficile un premio per Siberia di Abel Ferrara, al 70 per cento italiano, con Willem Dafoe.
Difficile comunque ipotizzare dove la Giuria troverà il suo punto di equilibrio in un Festival che comunque ha dato spazio più di sempre (con la nuova direzione di Carlo Chatrian, italiano, scelto nel board del festival di Locarno dopo il trentennale di Dieter Koesslick,) alla qualità e anche alle tematiche sociali o di denuncia; una linea editoriale ben consolidata di un festival che guarda all’impegno prima che al glamour. Quest’anno anche più sottotono rispetto ad alcune memorabili edizioni di Koesslick.
Tra i temi per esempio, anche la città di Berlino a partire dalla nuova versione di Berlin Alexanderplatz di Burhan Qurba.
Con Mariette Rissenbeek co-direttrice, Chatrian chiude comunque un’edizione con diciotto film in concorso provenienti da altrettanti Paesi (16 le anteprime mondiali), senza produzione di piattaforme (vedi Netflix).
“Ogni spettatore troverà i suoi trend topic” aveva promesso il Direttore garantendo che il criterio di selezione principale sarebbe stato quello della qualità artistica, un po’ come vale in generale anche per gli altri festival internazionali da Cannes a Venezia. Promessa mantenuta anche quella dell’attenzione alla parità di genere, con ben sei registe presenti quest’anno in competizione. Tra gli ospiti, la punta di diamante al femminile di queste giornate berlinesi è stata Hillary Clinton, per la docuserie Hillary di Nanette Burstein. Quattro ore di biopic ricche di inediti e di privato presentate in Berlinale Special Gala.
A Berlino film “molto differenti per autore e genere, per storie e stile di racconto che testimoniano la diversità e la vivacità della nostra capacità produttiva” ha dichiarato, a proposito della forte presenza del cinema italiano, Paolo Del Brocco amministratore delegato di Rai Cinema presente in molte produzioni anche oltre i due film del concorso. È un commento che vale in generale per la linea di questa Berlinale 70 che –a proposito di Italia -non ha dimenticato i 100 anni di Fellini con Il bidone né quando un titolo italiano – Il cammino della speranza di Pietro Germi vinse l’Orso d’argento alla prima edizione del 1951. Scritto tra gli altri proprio da Federico Fellini.